Se basta un istante per innamorarsi, pensate a cosa può succedere in 4 anni. Quarantotto mesi quasi esatti esatti perché questa storia d’amore inizia il 17 luglio del 2019. Una storia ricca di passione ma anche tormentata, che ha attraversato momenti di crisi e attimi di immensa gioia, che ha fatto ridere e ha fatto piangere, che ha fatto disperare ed esultare. Una storia in cui, insomma, è successo di tutto. Tutto, condensato in quarantotto mesi quasi esatti.
Sono quelli trascorsi dal giorno in cui Luca Martinelli viene acquistato dal Catanzaro, ad oggi in cui, di fatto, annuncia il suo addio. Da capitano, da vincente, da capitano vincente. E da uomo: vero, perbene. E da professionista: serio ed esemplare. Perché più delle giocate, dei gol, spesso decisivi, quello che resta impressa di Luca Martinelli è la sua anima: combattiva ma sensibile allo stesso tempo. Chi ha avuto modo di conoscerlo – in campo e fuori – non ha dubbi nell’affermare che lui ha incarnato i veri valori di un capitano. Ma quanta fatica per dimostrarlo…
Sceso da Foggia, in serie B, arriva a Catanzaro con la classica etichetta di difensore esperto ma un campionato altalenante e la mannaia del Covid fa passare in secondo piano tutto il resto, anche l’ennesimo playoff perso. Resta la perla, la prima in giallorosso, del gol al Picerno. Di destro e al novantesimo: una rete che sintetizza il giocatore, bravo tecnicamente e l’ultimo a mollare. Almeno così sembrerebbe, perché l’estate post pandemia pare quella dei saluti. Incomprensioni tecniche e forse ambientali sembrano spingere Martinelli lontano dai tre colli. Tra le destinazioni probabili? L’ Avellino. Bhe, proprio l’Avellino sarà uno degli snodi cruciali di questa storia.
Che prosegue con un Martinelli nuovo (anche nell’aspetto, capelli corti come a voler simboleggiare un cambiamento: nuovo look e nuova Luca). Che di rabbia si guadagna la riconferma con un gol storico al “Bentegodi” al Chievo Verona in Coppa Italia. Al quale ne seguirà un altro iconico, quello con cui il Catanzaro espugna “La Favorita” di Palermo. Gol a Verona e a Palermo, così tanto per gradire. Il nuovo Luca sembra essere definitivamente sbocciato anche se ogni tanto torna quello distratto e supponente che lo espone alle critiche in campo da parte di impazienti tifosi. Le sue giocate croce e delizia e i proverbiali lanci lunghi diventano motivo di improperio quando sono troppo lunghi, di applausi quando mettono un Di Massimo qualsiasi davanti la porta avversaria. Luca è fatto così in campo, un po’ Jekill e un po’ mister Hide. Anche nella stagione gloriosa appena conclusa sarà capace di farsi buggerare ingenuamente in casa con la Viterbese e poi rifarsi a Monopoli salvando un gol già fatto. Dottor Luca e mister Martinelli. Ma fuori dal campo sempre attento, mai una polemica, mai una parola fuori posto, sempre pronto da capitano a metterci la faccia, nel bene e nel male. Ed è questo suo lato che emerge insieme a un calciatore che, anche più sereno psicologicamente, si esprime ad altissimi livelli.
L’arrivo di mister Vivarini è per lui (come per molti) un upgrade tecnico e mentale e lui da capitano lo deve dimostrare. E lo fa al “Ceravolo” contro – guarda caso – l’Avellino – nella partita che, prima fra tutte, fa capire che cosa, di bello, sta iniziando a germogliare. Un fiore bellissimo con al centro il suo capitano che decide essere decisivo quando serve. Con l’Avellino all’inizio della cavalcata (anche se nessuno ancora lo può immaginare), col Monterosi alla fine quando c’è da sancire il trionfo. Con quel “Bah!” sulla maglietta a dire tutto: la lettera della gloria e un’esclamazione di liberazione e meraviglia messi insieme. Luca ha completato la missione e lo ha fatto da protagonista con quei due gol a Pescara, (tanto per non rompere la tradizione di segnare solo in stadi importanti) momento cruciale della stagione.
Tre gol nella stagione dei record, ottime prestazioni, assist nell’annata indimenticabile, eppure il capolavoro lo fa con le parole nel giorno dei giorni. Le sue lacrime, vere, nel dopo Gelbison, sono l’immagine dell’uomo Luca: una sensibilità da capitano vero, da colui che sa quanto contino l’esempio, il rispetto, l’educazione. Luca ha completato la missione, la sua seconda: far tornare l’entusiasmo, far tornare a sorridere. E farlo facendo commuovere è un capolavoro degno di chi ha la fascia sul braccio. Certo i suoi siparietti con l’amico Scognamillo, la sua gioia nell’arrivo della pizza negli spogliatoi, resteranno altre immagini indelebili di un calciatore che senza nessuna paura di smentita è di fatto un’icona del calcio a Catanzaro, un pezzo di storia giallorossa importantissimo. Perché diventare capitano di una squadra di calcio è il sogno di tutti, farlo del Catanzaro è un privilegio di pochi, esserlo del Catanzaro più bello di sempre è un onore solo di Luca Martinelli. Il capitano dei capitani? Boh, difficile dirlo, davanti a gente come Banelli, Ranieri, Ferrigno & co. Impossibile fare classifiche, certo è che lui al pari di questi grandissimi ha interpretato al meglio cosa vuol dire essere capitano del Catanzaro.
Per questo, per descrivere ciò, ci scuserete se ci siamo dilungati un po’. Ma d’altronde per narrare questa storia lunga ben quarantotto mesi era giusto così. Era doveroso incastonare nero su bianco un racconto d’amore intenso come pochi che ci legherà per sempre al Luca Martinelli il calciatore, a Luca il bravo ragazzo o, più “semplicemente”, al capitano. Quello con la C maiuscola.