C’era un’atmosfera elettrica al “Militare” di Catanzaro quel 7 gennaio del 1934, festa di colori e suoni, il canto dei tifosi che si mescolava alle ovazioni applausi in quel pomeriggio segnato dal freddo, ma che prometteva una giornata di grande calcio, ma nessuno avrebbe potuto immaginare l’impresa che stava per consumarsi sul campo.
In quel pomeriggio magico, Carlo Radice, soprannominato il “Vichingo”, si ergeva come un gigante tra i mortali. La sua figura imponente, con capelli biondi e occhi verdi, incuteva timore nei cuori dei portieri avversari, e quel giorno, la sua potenza di tiro sarebbe diventata leggenda.
La partita contro il Derthona non era solo un incontro di campionato; per il Catanzaro, era una necessità, una boccata d’aria dopo cinque partite senza vittorie. Radice, approdato in giallorosso dopo un controverso addio a Palermo, arrivò a Catanzaro nottetempo nell’estate del 1933, da Palermo dovette andare via in fretta e furia, rimase coinvolto in uno scandalo per una relazione extraconiugale che mise in serie difficoltà la società rosanero e la famiglia dello stesso attaccante.
Sapeva di essere il protagonista atteso da una squadra in difficoltà. La chiamata del mister ungherese Heinrich Schönfeld, e il suo trasferimento notturno nella città calabrese segnano l’inizio di un nuovo capitolo per il bomber.
Già all’11’ il “Vichingo” rompe il ghiaccio, scaricando un tiro che si insacca in rete come una cannonata. Tre minuti più tardi, è già bis: il secondo gol lo consacra eroe di giornata, ma per lui non è mai abbastanza, perché al 64’ e 69’, altri due colpi di genio completano un poker che fa tremare le tribune e fa esplodere di gioia i tifosi. Il punteggio finale, 6-0, regala al Catanzaro una vittoria schiacciante e un nuovo idolo.
Ma dietro a quei quattro gol, si cela la storia di un uomo che, dal dolore e dalle difficoltà, ha trovato la forza di rinascere. La stagione a Catanzaro fu costellata da diversi infortuni, compagni di viaggio indesiderati di Radice in questa nuova avventura, non hanno fatto altro che fortificare la sua determinazione. La sua carriera, benché segnata da alti e bassi, continuava a brillare grazie a momenti come questo, in cui il talento si fondeva con la pura passione.
In quell’indimenticabile pomeriggio, il Catanzaro ritrovava la sua identità, e Carlo Radice non era più solo un giocatore, ma un mito. Quattro reti, un’ovazione che risuonerà nel tempo, celebrando un autentico bomber di razza che aveva saputo trasformare le difficoltà in opportunità. I tifosi, in estasi, cantavano il suo nome, mentre il “Vichingo”, fiero, salutava il suo pubblico, consapevole di aver scritto una pagina di storia che resterà per sempre nel cuore della città.