Una volta era il calcio, un pallone che rotolava in rete esaltava migliaia di appassionati. C’era poi lo stadio senza tornelli, senza seggiolini, senza prefiltraggi, più gente poteva contenere più passione si raccoglieva. Cerano anche i presidenti come Nicola Ceravolo (Catanzaro), Romeo Anconetani (Pisa), Costantino Rozzi (Ascoli), Antonio Sibilia (Avellino), che riuscivano meglio di altri ad incarnare la passione, capaci di far approdare le rispettive società in quella serie A dominata dallo strapotere economico dei ricchi industriali del Nord. Ma esaurita la passione il Catanzaro manca dalla serie A da ben 41 anni (1982-83), Avellino da 36 anni (1987-88), Pisa 33 anni (1990-91), Ascoli da 17 anni (2006-2007).
Sono state rimpiazzate da società come il Sassuolo di Giorgio Squinzi, il Monza di Silvio Berlusconi, il Chievo di Luca Campedelli che prima del fallimento ha fatto ben 17 campionati di Serie A, il Frosinone di Maurizio Stirpe.
Quando il Catanzaro disputò il primo campionato di Serie nella lontana stagione del 1971-72 il Sassuolo si classificava al 14° posto del campionato di Serie D, il Chievo Verona 5° nel girone di A della promozione veneta, il Frosinone 7° nel girone C della Serie C. 52 anni dopo Sassuolo, Frosinone e Monza si sono ritrovate in Serie A, le prime due addirittura con uno stadio di proprietà e con gli emiliani che prima della retrocessione dello scorso maggio sono stati un modello da seguire per tanti club.
Qual è stata la bravura della famiglia Squinzi? Di certo non è stato un successo votato solo sul campo, anzi il successo sul terreno e il frutto raccolto per aver dato una dimensione manageriale del club partendo da chi è stato dietro alle scrivanie. Ed oggi rappresenta l’elemento principale se si vuole fare calcio e lo si vuole fare a grandi livelli.
Non sono più i tempi in cui il presidente di club può decidere di fare solo di testa sua, è il calcio dell’era dei manager, oggi le società sono sempre più articolate e vi è la necessità che vi siano più soggetti specializzati che decidano ognuno della propria area di competenza, piuttosto che un presidente accentratore che prenda decisioni di ogni genere.
L’azienda Calcio è una delle più difficili da gestire in quanto oltre agli ordinari problemi aziendali, presenta anche una serie di variabili aleatorie difficilmente controllabili, per cui sarà necessario che i manager siano dotati delle competenze generali per attuare una gestione efficace.
Per molti anni c’è stata sempre la tendenza a focalizzare l’attenzione sul terreno di gioco e sui calciatori, trascurando il fatto che quello che si vede in campo è solamente il risultato di un’enorme produzione sottostante che riguarda numerosi addetti ai lavori, in tale contesto un apporto cruciale deve provenire dal management, il quale ha il compito di gestire tutte le operazioni al fine di ottenere sia i risultati sportivi che quelli economici. Oggi è fondamentale quell’insieme di politiche attraverso le quali l’azienda riesca a mettere insieme sinergie strutturali in grado di reperire risorse, anche il più solido dei presidenti senza riuscire a diversificare le risorse non potrà resistere a lungo.
La stessa tifoseria catanzarese pone le proprie speranze sulla figura del presidente Floriano Noto, imprenditore di grande successo leader della GDO nel Sud Italia, ma questo carico di responsabilità è il più grande errore che si possa fare se si guarda solo ai risultati sul campo, ed è proprio lo stesso presidente ad aver dato l’input necessario affiche venga compreso che per sostenersi l’U.S. Catanzaro deve ampliare la sua visione, ovvero il risultato sul campo è fondamentale, ma senza voli pindarici così come il quinto posto in Serie B della scorsa stagione deve far illudere che si possa aspirare alla Serie A.
Ma neanche voler retrocede in Serie C come qualcuno ha ipotizzato di recente dopo il cambio dei quadri dirigenziali e tecnici. Il primo a non voler la retrocessione è proprio lo stesso presidente Noto, perché sa meglio di tutti che retrocedere significherebbe un bagno di sangue economico con conseguenze pesantissime, sarebbe non solo un fallimento sportivo ma anche vanificherebbe tutti quelli sforzi mirati a costruire un futuro sostenibile.
E quel futuro è già iniziato, la nomina di Paolo Morganti nel ruolo di direttore generale gestionale, così come la new entry Dario Lamanna apre allo sviluppo futuro con la pianificazione delle infrastrutture di cui il Centro Sportivo sarà il primo passo, ma poi serve anche una visione diversa dalla politica locale che apra ad un confronto per la costruzione di un nuovo stadio. Uno stadio nuovo e moderno non è fatto a misura sulla capienza come qualcuno voglia far credere, o arrampicandosi al romanticismo della storia o alla necessità di animare un quartiere.
Se la passione è un motore potente e necessario, la pianificazione strategica e la gestione competente sono essenziali per evitare le insidie finanziarie ed organizzative. E la transizione effettuata dal presidente Noto verso un management più professionale ed etico nel calcio professionistico è fondamentale per garantire la sostenibilità e il successo a lungo termine della stessa società. Anche la scelta di Massimo Bava figura principale e di grande spessore del Settore Giovanile è un investimento in un management professionale per la trasformazione del settore giovanile verso un’impresa di successo, contribuendo allo stesso tempo a formare giovani atleti responsabili e integrati nella società.
Adottando un approccio più strutturato e professionale, il Catanzaro apre al futuro, non è più questione solo di abilità tecniche. Ormai da tempo la gestione di una società calcistica richiede capacità manageriali paragonabili a tutti gli effetti a quelle di una impresa in cui l’asset strategico è il capitale umano. Il successo (anche) sportivo dipende sempre più da un management dotato di conoscenze e strumenti per affrontare le nuove grandi sfide, sul campo e non solo.